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Il celibato clericale


Eunuchi a causa del regno dei cieli

Uno dei temi più discussi nella Chiesa Cattolica negli ultimi decenni è stato la questione del celibato obbligatorio dei suoi religiosi. L’assenza di un chiaro fondamento biblico per questa pratica e la grande mancanza di sacerdoti per aiutare i fedeli cattolici ha portato un numero crescente di persone, tanto laiche quanto religiose, a rivendicare un cambiamento di questa restrittiva norma. Molti cattolici osservano il clero ortodosso e i pastori protestanti e costatano che il fatto di sposarsi non costituisce un ostacolo al loro lavoro pastorale. Tuttavia, i pontefici romani si sono costantemente pronunciati contrari a questa riconsiderazione. La questione del celibato è importante perché legata ad altri temi fondamentali, come il significato cristiano del ministero, della sessualità, del matrimonio e della famiglia.

1. Considerazioni preliminari

Il celibato clericale si collega a due fenomeni che si sono manifestati nel cristianesimo a partire dal periodo antico: l’ascetismo e il monachesimo. Poiché la Chiesa divenne maggioritaria nel mondo greco-romano, con il conseguente declino dei suoi standard spirituali ed etici, nacque nell’intimo di molti cristiani il desiderio di una vita più disciplinata e consacrata a Cristo. Questa aspirazione si intensificò nel IV secolo d.C., in opposizione all’aumento di potere, ricchezza e opulenza dell’istituzione ecclesiastica risultante dai suoi rapporti con lo stato romano. In seguito, sorse l’idea dell’esistenza di due categorie di cristiani: quelli che si accontentavano di una vita spirituale inferiore, e quelli che aspiravano alla perfezione (Mt 19.21).

L’ascesi, o autodisciplina cristiana, di ispirava tanto alle Scritture quanto alla cultura e filosofia greche. La vita casta di Giovanni Battista, Gesù e Paolo, così come alcune affermazioni di questi ultimi preservate nel Nuovo Testamento, esercitarono una forte influenza su molte menti. Gesù affermò che alcuni individui hanno ricevuto il dono di diventare “eunuchi” – ovvero di rinunciare al matrimonio – a causa del regno dei cieli (Mt 19.11-12), e Paolo raccomandò che le persone dessero la preferenza allo stato in cui lui stesso viveva (1Co 7.8). Oltre a questo, il dualismo platonico tanto radicato nella mentalità greca, con la sua distinzione tra spirito e materia (e la tendenza a valorizzare il primo rispetto alla seconda), contribuì a sua volta all’enfasi data alla vita religiosa.

Gli asceti e i monaci furono considerati continuatori dell’antica e gloriosa tradizione del martirio. Essi erano i “martiri vivi” che, con la loro rinuncia ai piaceri della carne, potevano in modo più libero e accessibile dedicarsi al servizio di Dio. Questa rinuncia era considerata specialmente significativa nell’area della sessualità, e ben presto nella storia della Chiesa nacque la tendenza di valorizzare straordinariamente la verginità e la castità come condizioni che contribuivano in modo singolare ad una vita santa. Un buon esempio di questa preoccupazione può essere visto negli scritti di Tertulliano, che visse intorno all’anno 200 d.C. È degno di nota il fatto che, facendo questo, molti cristiani si allontanarono da un’ampia corrente di insegnamenti biblici, anche neotestamentari, che puntavano in direzione opposta: alla valorizzazione del matrimonio e della vita familiare, anche per i capi della Chiesa (vedi Mt 8.14; 1Co 9.4-5; 1Ti 3.1-5; Tt 1.5-6).

2. L’istituzionalizzazione del celibato

Nonostante questi insegnamenti, a partire dal II o III sec d.C. nacque l’idea che il celibato fosse la condizione da preferire per i capi della Chiesa. Nel IV secolo, quasi tutti i vescovi di Grecia, Egitto ed Europa occidentale erano celibi o, se sposati, lasciavano le proprie mogli in seguito alla consacrazione episcopale. Tuttavia, i sacerdoti e i diaconi si sposavano, non avendo nei primi secoli alcuna legge che proibisse il matrimonio per il clero. Eventualmente, i due grandi settori della chiesa – orientale e occidentale – svilupparono regole diverse riguardo al celibato.

Nella Chiesa Greca, o Orientale, vennero create delle leggi per i vescovi, tra il VI e il VII secolo, che proibivano loro espressamente il matrimonio e che, se già sposati, li obbligavano a mandare le proprie mogli in un lontano convento. Tuttavia, gli ordini inferiori del clero avevano il permesso di sposarsi, e questa pratica continua ad essere rispettata fino ad oggi. Ironicamente, la chiesa occidentale, in teoria meno influenzata dal dualismo platonico della sua congenere greca, finì per adottare regole ancora più rigide per quanto riguarda il celibato, impedendolo a tutti i religiosi, incluso il clero inferiore. Sembra che questo fu il risultato più di considerazioni pratiche che propriamente teologiche.

In Occidente, il celibato divenne un obbligo canonico per il clero a causa degli sforzi combinati di papi e concili regionali. La più antica stipulazione sull’assunto, il canone 33 del Concilio di Elvira, in Spagna (attorno all’anno 305 d.C.), dichiara quanto segue: “Decretiamo che tutti a i vescovi, sacerdoti e diaconi, e tutti i chierici coinvolti nel ministero, sia totalmente proibito di vivere con spose e generare figli. Chiunque faccia questo, sarà deposto dalla dignità clericale”. Poco tempo dopo, il vescovo Osio di Cordova tentò senza successo di far approvare questo decreto dal Consiglio di Nicea (325 d.C.). Questo fu portato avanti da diversi vescovi di Roma nei secoli IV e V – Damaso, Siricio, Innocenzo e Leone – che, mediante decreti, imposero al clero il celibato obbligatorio. In Africa, Francia e Italia, alcuni concili regionali emisero decreti a sostegno di questa pratica.

  1. L’esperienza medievale e la Riforma

In tutte le epoche della storia della Chiesa, l’osservanza del celibato, e in particolar modo della castità presupposta per lo stesso, fu violata con maggiore o minore intensità. Uno dei periodi in cui questo avvenne in modo più accentuato fu in seguito alla caduta dell’impero di Carlo Magno, nei secoli IX e X. In questo periodo, in alcuni casi gli stessi papi ebbero mogli e figli, alcuni dei quali occuparono posizioni notevoli nell’amministrazione della Chiesa. Tra il clero inferiore, il matrimonio, o almeno il concubinato, divenne abbastanza comune, il che non significa che questi chierici vivessero vite immorali. Molti di loro erano uomini d’onore che avevano una famiglia e, allo stesso tempo, servivano la Chiesa.

Allo stesso tempo, con la fondazione del celebre monastero di Cluny, nella Francia centrale, nel 909 d.C., nacque un movimento che puntava alla riforma morale e amministrativa della Chiesa, che vedeva tra i suoi principali obiettivi la lotta contro la “simonia”, ovvero, la compravendita di incarichi ecclesiastici, e il “nicolaismo”, ovvero, il matrimonio clericale. Questo movimento raggiunse il suo apice nel corso del pontificato di Ildebrando, o Gregorio VII (1073-1085), che si sforzò tenacemente per ristorare l’ideale monastico del celibato, visto come qualcosa di molto utile per l’interesse della Chiesa. Lui e altri papi portarono il celibato clericale ad essere ampiamente accettato nella Chiesa Occidentale.

I riformatori protestanti, con la loro enfasi sulla precedenza delle Scritture nei confronti della tradizione ecclesiastica, rifiutarono il celibato obbligatorio considerandolo carente di basi bibliche. I principali riformatori, uomini come Lutero, Zwingli e Calvino, si sposarono, senza che questo pregiudicasse il loro lavoro come capi religiosi. Riflettendo su questa nuova realtà, lo storico Steven Ozment osservò che “nessun cambiamento istituzionale prodotto dalla Riforma fu più visibile, più sensibile al grido della Riforma della fine del Medioevo e più responsabile del nuovo atteggiamento sociale del matrimonio dei chierici protestanti. Inoltre non ci fu altro aspetto del programma protestante nel quale la teologia e la pratica armonizzarono con maggior esito”. Il matrimonio, incluso quello dei ministri di Dio, fu visto non soltanto come un’affermazione del dono divino della sessualità ma, prima di tutto, come il contesto della creazione di una nuova coscienza di comunità umana, con tutti i suoi dolori e le sue allegrie. Come parte della controriforma e della riforma cattolica, il Concilio di Trento (1545-1563) riaffermò il celibato clericale, ma dichiarò che lo stesso era imposto al clero dalla legge della Chiesa, e non dalla legge di Dio.

[…]

Storicamente, l’imposizione forzata del celibato ai sacerdoti ha causato grandi problemi alla chiesa cattolica, come i numerosi casi di pedofilia di cui hanno parlato i notiziari negli ultimi decenni, tanto in Brasile quanto negli altri paesi. Senza contare i casi che non arrivano al pubblico, per diversi motivi. La Chiesa Romana deve avere la sensibilità pastorale di capire che molti individui che hanno una vocazione religiosa non hanno in concomitanza il dono della vita in castità. Poiché la stessa chiesa ha riconosciuto il fatto che questa sia una legge della chiesa e non di Dio, sarebbe sensato rendere il celibato una condizione facoltativa per i suoi sacerdoti e le sue suore, nonostante sia innegabile che il peso della tradizione e della storia si opponga con forza a questa possibilità.

Dr. Alderi Souza de Matos

Professore di Teologia Storica al Centro Presbiteriano Andrew Jumper (CPAJ) e storico ufficiale della Chiesa Presbiteriana del Brasile (IPB).

Traduzione italiana Paini Alessia @FedeRiformata.com

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