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La scoperta di Sefora

La prima impressione che Sefora ebbe di Mosè, incontrandolo vicino ad un pozzo di Madian, fu quella di un uomo sorprendentemente generoso e gentile. In quell’occasione, Mosè aiutò prontamente le figlie di Ietro e il gregge che era stato scacciato da pastori impertinenti, che erano sopraggiunti con i loro animali mentre Sefora e le sue sorelle stavano dissetando il gregge del padre. Quanta fretta, non avrebbero potuto aspettare un minuto? E come avrebbero potuto, ora, dividere le pecore che si erano mischiate? Fu in quel momento che Sefora conobbe Mosè. Lui si alzò immediatamente e andò ad aiutarle.


Sembra che l’aiuto di Mosè avesse velocizzato molto il loro compito quotidiano poiché, al loro rientro, il padre di Sefora e delle sue sorelle chiese immediatamente: “Come mai siete tornate così presto oggi?” La risposta che ebbe riassume la prima impressione che Mosè aveva dato loro: “Un Egiziano ci ha liberate dalle mani dei pastori, per di più ci ha attinto l'acqua e ha abbeverato il gregge” (Esodo 2.19). Ci sono tre elementi significativi di questa prima impressione lasciata da Mosè:


1. La sua identità egiziana. Mosè non era un egiziano, era un ebreo. Del resto, i suoi ultimi giorni in Egitto erano stati segnati dalla sua decisione di farsi giustizia da solo, vedendo i suoi “fratelli” (il popolo ebreo) sofferenti e maltrattati. Chissà quale dei suoi atteggiamenti lo faceva passare ancora per egiziano. Qualunque cosa abbia fatto, detto o usato, Mosè non aveva fatto nulla per impedire di essere identificato come egiziano. Anche dopo la visione del pruno in fiamme, che lo portò a chiedere al suocero di poter lasciare il proprio lavoro, Mosè non chiarì di essere ebreo: “«Lascia che io vada e ritorni dai miei fratelli che sono in Egitto, e veda se sono ancora vivi». Ietro disse a Mosè: «Va' in pace»” (Esodo 4.18). Proprio come Mosè, molte persone si abituano (senza accorgersene o per convenienza) all’idea che gli altri hanno di loro. Chi fa questo mente a sé stesso, al prossimo e a Dio, che conosce ogni nostro passo.


2. La sua funzione di liberatore. L’“aiuto” di Mosè con il gregge, quel giorno, ebbe un impatto profondo sulla vita delle figlie di Ietro. Esse interpretarono il suo comportamento come un atto di liberazione. Forse, quei pastori, avevano davvero mescolato i due greggi per approfittarsi della situazione, per rubare alcuni degli animali o per farsi beffa delle figlie di Ietro. Cos’avrà fatto Mosè, quella volta, affinché le persone che voleva aiutare accettassero il suo aiuto? Quando aveva provato a “liberare” quell’ebreo dal litigio con un altro ebreo, il suo comportamento non era stato ben accetto: “Chi ti ha costituito principe e giudice sopra di noi? Vuoi forse uccidermi come uccidesti l'Egiziano?” (Esodo 2.14). Anche le figlie di Ietro avrebbero potuto reagire allo stesso modo, rifiutando l’aiuto di Mosè – un estraneo che vagava per la città. Il comportamento recettivo di Sefora e delle sue sorelle nei confronti dell’aiuto di Mosè deve aver incoraggiato la sua idea di essere un liberatore. L’innocenza di quelle ragazze nell’accettare il suo aiuto stava massaggiando l’ego di un uomo che nascondeva un omicidio dentro di sé (il vero Mosè liberatore doveva ancora arrivare).


3. La sua disponibilità. L’atteggiamento di Mosè andò ben oltre ciò che loro si aspettassero da un estraneo. Nel rapporto che fecero al padre, aggiunsero al prodigio della liberazione i seguenti punti: “per di più ci ha attinto l'acqua e ha abbeverato il gregge”. Questo significa che, dopo aver risolto il problema dei pastori, Mosè aveva fatto più di quanto loro avessero sperato. Non è così facile trovare persone tanto desiderose di aiutare. Ietro, sentendo la loro storia, desiderò subito sapere dove si trovasse quello sconosciuto egiziano. Questo ci dimostra che la percezione di Ietro della disponibilità di Mosè non era la stessa delle sue figlie. In qualche modo, la prima impressione che Sefora ebbe di Mosè includeva la sua enorme capacità di servire e aiutare gli altri.


Nessuno è perfetto, devo ammetterlo. Tuttavia, costruire un’immagine di noi stessi basata solo sulle buone impressioni di coloro che non ci conoscono è una decisione disonesta e falsa, come ho detto in precedenza. I primi a non voler perpetrare una falsa impressione di noi stessi dobbiamo essere proprio noi. Mosè si prese gioco dell’innocenza di Sefora e della sua famiglia alimentando la falsa impressione iniziale che avevano avuto di lui.


Il giorno della scoperta

Lo scherzo finì, e la finzione e la menzogna continuarono, ma non per sempre. Un incidente inaspettato, mentre Mosè tornava in Egitto per rivedere i suoi fratelli, aprì gli occhi di Sefora. La storia narra (Esodo 4.24-26) che, mentre pernottavano lungo la strada, Dio cercò di far morire Mosè. Abbiamo poche informazioni riguardo a cosa successe quel giorno; tuttavia, le uniche parole riportate di quell’evento furono quelle proferite dalla bocca di Sefora. La Bibbia non ce lo dice, ma credo che Mosè, quella notte, abbia detto molte cose per la prima volta a Sefora di sé stesso. In quel luogo, lei scoprì due cose:

1. Suo marito aveva un debito di sangue. Non è chiaro se l’espressione “di sangue” usato da Sefora abbia a che vedere con la sua colpa in relazione all’egiziano che aveva ucciso o con la necessità di compiere il rito della circoncisione. Considerando che la circoncisione non era una pratica limitata al popolo d’Israele, non credo che a Sefora sarebbe importato tanto, essendo madianita. Conosceva il rito della circoncisione, nonostante non facesse parte del popolo ebreo. Io penso che lei abbia scoperto la colpa che pesava su Mosè, che avrebbe giustificato la decisione di Dio di ucciderlo. Come già menzionato, la storia è breve e non abbiamo modo di sapere, con certezza, cosa accadde ma, dalle poche informazioni che abbiamo, sono propenso a pensarla così.

2. Suo figlio doveva collaborare ad espiare il debito di sangue. Essendo le informazioni limitate, dobbiamo accettare ciò che fu detto e fatto senza avere alcuna spiegazione. Sefora prese una pietra tagliente e tagliò il prepuzio del figlio, lanciandolo ai piedi di Mosè. Penso l’avrebbe fatto solo su ordine del marito. In qualche momento di quella sera tumultuosa, Mosè deve averle detto che quello sarebbe stato l’unico modo di contenere l’ira di Dio. Sefora fece ciò che doveva essere fatto, ma non ne fu felice: “Tu sei per me uno sposo di sangue!” (Esodo 4.25).


Non posso dire che tutto si risolse prima che lasciassero il luogo in cui pernottarono quella notte; qualcosa successe tra Mosè e Sefora. Durante le dieci piaghe d’Egitto, non c’è alcun indizio del fatto che Sefora fosse al suo fianco. Stranamente, dopo aver passato il Mar Rosso, Ietro andò incontro a Mosè, portando con sé Sefora che, secondo il testo, “era stata rimandata” (Esodo 18.3). Perché Mosè aveva rimandato Sefora alla casa del padre? Non lo so. Perché suo padre la portò con sé per incontrare Mosè? Probabilmente in un tentativo di riconciliazione.


Cosa dobbiamo imparare da tutto questo?

Ciò che fu richiesto a Sefora e Mosè per placare l’ira di Dio finì per essere un gesto molto simbolico – il sangue del figlio fu versato. In un certo modo, tutti noi dobbiamo pagare un prezzo nei momenti decisivi del nostro cammino. Il problema è che ciò che viene richiesto ad ognuno di noi è una sorpresa; Sefora scoprì all’ultimo momento, nel momento peggiore, quale fosse il prezzo da pagare.


Oltre ad essere stata ingannata tanto a lungo e ad essere arrabbiata per questo, Sefora dimostrò di avere gran timore di Dio, poiché sparse il sangue del figlio per salvare la vita del marito. Non consiglierei a un marito qualsiasi di aspettarsi un tale gesto, trovandosi in una situazione simile.


La prima impressione dell’“egiziano-liberatore-disponibile” dovette finire per Sefora e Mosè, quel giorno, per permettere la nascita di un nuovo Mosè. Mosè iniziò la sua nuova vita sottoforma di ebreo riluttante a partecipare al piano di Dio per liberare il Suo popolo, ma alla fine lasciò un’ultima e durevole impressione, che formò conversando costantemente con Colui che tutto sa e tutto vede: “Or il SIGNORE parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico” (Esodo 33.11).


Rev. Daniel Santos Jr

Pastore della Chiesa Presbiteriana di Santo Amaro



Traduzione italiana Paini Alessia @FedeRiformata.com

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